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“White Gloves” dei Bad Blues Quartet: recensione

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Il quarto album dei Bad Blues Quartet, “White Gloves”, prodotto dal chitarrista e produttore americano Mike Zito, rappresenta un significativo punto di incontro tra la tradizione del blues del Delta del Mississippi e una visione compositiva più contemporanea. Attraverso un lavoro di esplorazione e raffinamento, il disco presenta una complessa tessitura di stili musicali, dalla pura essenza del blues acustico al funk vibrante, al soul emotivo e al dinamico shuffle del blues elettrico.

Il brano di apertura, “No More Shuffle”, si distingue immediatamente per il suo approccio ironico e critico nei confronti dei cliché del blues, presentando una storia avvincente di un musicista in viaggio verso New Orleans. La maestria di Mike Zito alla chitarra e l’armonica di Davide Speranza aggiungono profondità e autenticità al pezzo, stabilendo un alto standard per il resto dell’album.

Segue “Hot Tub”, un brano che riflette sulle esperienze della band e sulle critiche esterne che hanno cercato di inquadrarli in un genere definito. La partecipazione di Cek Franceschetti aggiunge un’ulteriore dimensione al pezzo, esplorando il tema della percezione e dell’autenticità artistica.

“You Never Ask for Beer” è un commovente tributo a un amico perso, dove la band riesce a catturare un senso di perdita e ricordo attraverso un’arrangiamento rock solido e coinvolgente. Le chitarre di Alle B. Goode elevano la traccia, conferendole un tono sia celebrativo che riflessivo.

“It’s Been Too Long” offre una prospettiva sulla libertà e la rinascita dopo un periodo di reclusione, con uno shuffle atipico che vede Zito non solo come produttore ma come voce guida nel brano, mentre “Fearful and Blue” porta il blues verso tonalità più oscure e intense, con Marco Rizzi al organo Hammond che arricchisce ulteriormente la composizione.

La narrazione del disco prosegue con “Rubble”, un viaggio evocativo attraverso paesaggi desolati che riflette la capacità della band di trasportare l’ascoltatore in luoghi emotivi complessi. “Can’t See Nobody” cambia tono con una soul ballad che esplora la solitudine nell’era moderna, arricchita dalle tastiere di Andrea Schirru e una sezione fiati commovente.

“Alibies” introduce un elemento di funk al disco, mostrando la versatilità stilistica del quartetto, mentre “Wrong Meeting” offre un allegro boogie che contrasta con i temi più seri trattati altrove nel disco.

Verso la conclusione, “Stupid Girl” discute le aspettative sociali e la caducità della gioventù con un ritmo incalzante, e “Vanda’s Lullaby” fornisce un momento di introspezione acustica. Il disco si chiude con “Mr Social”, una critica acuta al giudizio online, e “An Ancient Song”, che riconnette il gruppo alle sue radici blues mentre guarda verso il futuro.

“White Gloves” dei Bad Blues Quartet è un album che celebra la ricchezza del blues mentre sfida le convenzioni, facendo della diversità stilistica e della profondità emotiva i suoi punti di forza.

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