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La mela del serpente: La Classe Media e la lotta di una generazione che non si arrende

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Con La mela del serpente, La Classe Media non ha paura di essere cruda e sincera. Il loro debutto è un’esplosione di alternative rock che mescola disillusione, lotte interiori e piccoli momenti di riscatto. Il titolo stesso racchiude il senso del disco: un invito alla tentazione, ma anche una riflessione su una realtà che non si può cambiare facilmente. Ogni brano racconta un passo di una generazione che ha perso molte battaglie, ma che non ha rinunciato a lottare. Con riff pungenti, testi schietti e un sound che non cede a compromessi, La classe media fa musica per chi si sente fuori posto e non ha paura di mostrarlo. Un esordio che non cerca approvazioni facili, ma che si fa sentire, forte e chiaro.

LA CLASSE MEDIA: la storia dietro il nome e l’inizio della band

La classe media nasce nel 2022 a Pavia dall’incontro tra Stefano Ronchi (basso e voce) e Rocco Marchesano (chitarra), due anime affini legate dalla stessa voglia di raccontare la realtà di una generazione che naviga tra difficoltà e speranze disilluse. Dopo aver provato più formazioni e macinato diversi live, nel 2024 il trio si stabilisce definitivamente con l’ingresso di Michele Pappalardo alla batteria, completando così una line-up che riesce finalmente a dar voce alla loro visione musicale.

Il nome della band è un chiaro riferimento a quella classe sociale che, sebbene non sempre apprezzata o celebrata, è il nucleo pulsante della loro musica: una fascia di popolazione che vive quotidianamente tra compromessi, sacrifici e una precarietà che sembra essere la norma. La classe media, per loro, non è solo una definizione socio-economica, ma una condizione esistenziale che unisce la ricerca di un equilibrio tra sogni e realtà. La loro musica parla di questo: il bisogno di affermarsi in un mondo che spesso non offre molte certezze, ma in cui ognuno cerca di ritagliarsi il proprio spazio, con tutte le difficoltà che ne derivano.

In occasione del lancio del loro nuovo EP, abbiamo avuto il piacere di fare due chiacchiere con Stefano Ronchi, bassista e voce de La Classe Media, per approfondire le tematiche, le ispirazioni e le sfide dietro questo progetto musicale.

 

 

Il vostro EP esplora il ritorno in Italia di un expat. Quanto c’è di autobiografico in queste storie? 

Sono storie di piccole sconfitte, vittorie e velleità in cui molti di noi si possono rispecchiare. Ma fra le righe nascondono un forte elemento autobiografico. Lasciai l’Italia nel 2014, appena dopo il picco dell’eurocrisi, per fare un dottorato in Germania. Partire fu come voltare pagina sulla mia vecchia vita. Sono rientrato in Italia nel 2018, per varie contingenze prima a Firenze, e poi a Pavia. A Firenze iniziai a scrivere i brani che poi avrebbero preso forma con La classe media (al tempo suonavo il basso in un’altra band). Sono i brani che sono finiti in questo nostro primo EP. Buttando giù i testi – cosa che faccio sempre abbastanza ‘di getto’ – mi resi conto che quello che avevo da dire andava sempre a parare lì, pescando dalla mia recente esperienza: la rottura col passato, con la vita precedente, l’inizio di un percorso nuovo, e il ritrovarmi cambiato ma al tempo stesso consapevole di aver consolidato (o forse accettato) una parte profonda di me stesso con la quale forse prima non riuscivo a convivere appieno. 

Nel brano La Mela del Serpente, si parla di cadere in tentazione e di rotture con il passato. Qual è stata la vostra “mela del serpente” personale che ha influenzato la scrittura di questa canzone? 

Ognuno ha la sua. E l’obiettivo del brano è un po’ quello di rievocare nella mente di chi ascolta la propria ‘mela del serpente’ personale. La mia ‘Mela del serpente’ è un tradimento da cui è poi nato un amore, che dura ancora oggi. 

In Klarastrasse parlate di amore, ma con un tocco di cruda realtà. Qual è stata l’ispirazione dietro la scelta di raccontare l’amore in questo modo poco convenzionale? 

Klarastrasse è il prosieguo de La mela del serpente. E’ una canzone d’amore scritta da chi non sa scrivere canzoni d’amore. O meglio, è una canzone sull’innamoramento, la prima fase di una relazione. Un innamoramento che arriva in un periodo difficile nella vita di due persone che sono “in caduta libera da un po’”, appunto, come grida il ritornello. Siamo persone fatte di carne e sangue, e nel concreto “innamoramento” vuol dire fare l’amore tutti i giorni, conoscere una persona, mettersi a nudo e perdersi in lei, in una dimensione che sembra staccarci dal mondo reale. Convenzionale o no, questo è ciò di cui parla Klarastrasse, e che influenza il mood della canzone. 

Il vostro EP tratta temi come il senso di appartenenza e il disorientamento. Quanto queste sensazioni sono il riflesso delle vostre esperienze personali come band? 

Beh, suonare rock negli anni della trap, delle mascherate in playback, e del pop iper-prodotto già dà una bell’idea di quanto andiamo controcorrente! Scherzi a parte, il senso di appartenenza che ci accomuna come membri de La classe media riguarda la musica usata come strumento di sfogo necessario. Al di là di questo ognuno di noi viene da un percorso di vita diverso. In realtà, credo che sia più il senso di disorientamento che ci lega come persone, al di là della musica. L’impressione è che sia io che Rocco (chitarrista) che Michele (batterista) ci sentiamo cani sciolti, o forse addirittura ‘pecore nere’ rispetto ad alcune situazioni di vita. Se è vero che i testi dell’EP richiamano la mia esperienza di rottura e ritorno, è anche vero che Rocco e Michele sono due fuori sede del Sud al Nord. Insomma, anche loro hanno lasciato alle spalle una vita per imbarcarsi in un’avventura nuova. 

Il brano Inopportuno affronta il tema del ritorno ad un luogo che sembra immutato, ma in cui ci si sente stranieri. Vi è mai successo di sentirvi fuori posto anche nella vostra città natale? 

Inopportuno parla proprio di questo. L’ho scritta quando sono tornato nella mia città natale, Pavia. Ero contento di essere tornato, ma sentivo di essere cambiato e di non riuscire più a incastrarmi bene in una realtà dove tutto sembrava immobile, fermo a dieci anni prima. Anche in contesti in cui prima mi sentivo ‘di casa’ avevo la sensazione di essere fuori posto. Ricordo che una delle prime volte che provammo il brano in sala prove io e Rocco gli parlai del senso del testo e mi disse che lo capiva eccome, dato che anche lui provava la stessa sensazione a volte quando rientrava in provincia di Reggio Calabria. 

Il sound del vostro EP unisce elementi di indie rock, post-punk e alternative. Quali sono state le sfide principali nel trovare il vostro stile musicale? 

La classe media è un progetto che ho covato per un po’ prima che vedesse la luce. Per me è stato un po’ un ritorno alle origini alternative rock. Dopo aver suonato altri generi più complessi, e dopo una pausa dalla musica in Germania, ho sentito il bisogno di tornare alla semplicità, a qualcosa di più immediato e diretto. La grande sfida, in una realtà “di provincia” come Pavia, è stata trovare musicisti interessati a entrare nel progetto. E forse non a caso ho trovato Rocco e Michele, entrambi fuori sede. E prima di Michele alla batteria ci ha accompagnati Daniele (pugliese, che ha registrato le parti che potete sentire nell’EP) e poi Giò, altro fuori sede, questa volta valtellinese. Al di là dei cambi di formazione, un’altra parte della sfida è stato trovare la quadra fra generi, ascolti, e stili diversi che ci portavamo come bagaglio personale. Nel gruppo, io sono il cultore della “musica ignorante”, amante della pacca e dei muri di ampli in overdrive. Rocco è laureato in chitarra jazz in conservatorio, invece, pur avendo suonato un po’ di tutto. E Michele è il metallaro della situazione, anche se studia percussioni classiche. Ci piacciono le contraddizioni, insomma! In una prima fase non è stato facile allinearci su un sound compatto e coerente, ma dopo tanto lavoro in sala prove siamo molto contenti. Quella che all’inizio sembrava una sfida adesso si sta trasformando in punto di forza: un mix di generi e influenze che porta valore aggiunto al filo rosso che abbiamo trovato a livello di sound. 

Nella vostra biografia parlate di precarietà come tratto distintivo della classe media. Come avete tradotto questa precarietà in musica e testi? 

Non è stato difficile. Uno riesce a raccontare bene ciò che conosce bene. E noi siamo genuinamente e inesorabilmente precari. Usiamo la musica come mezzo di sfogo ed emancipazione da ciò. Il nome stesso “La classe media” è un gioco basato sull’(auto)ironia. Noi siamo la nuova classe media, ma il posto fisso e la seconda casa al mare (il sogno della classe media italiana realizzato dalla generazione dei boomer) sono ormai realtà lontane. Adesso navighiamo a vista in un mare di contraddizioni: cerchiamo di stare a galla fra lavoro e affetti precari, ci dimentichiamo delle lotte e degli ideali del passato mentre ci concediamo l’addebito automatico mensile di Netflix, Amazon Prime, Spotify e compagnia bella. 

Nel brano La Rivincita parlate di riscossa personale. C’è un momento nella vostra carriera di band che considerate una piccola “rivincita”? 

E’ difficile dirlo perché come progetto esistiamo da un paio d’anni, siamo giusto all’inizio di un cammino. Ma intanto una bella “rivincita” è stata riuscire a trovare la nostra etichetta attuale, Overdub Recordings, e iniziare questo percorso con loro. 

Se doveste definire con una sola parola ciò che La Mela del Serpente rappresenta per voi come band, quale scegliereste e perché? 

Rivincita! Non a caso abbiamo scelto quel brano come singolo. Tutto l’EP La Mela del serpente è una rivincita che ci prendiamo sulle sconfitte del passato, su esperienze ed esperimenti magari andati male, ma che ci hanno portato ad essere ciò che siamo oggi. E come questo nostro primo EP, ogni live è per noi un “piccola rivincita” sui piccoli travagli quotidiani da surfisti del precariato quali siamo.

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