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Recensione: Dimmi dei Polo Territoriale – Un debutto che urla, sogna e si confronta con il buio
Con il loro primo album, Dimmi, i Polo Territoriale offrono un viaggio sonoro che mescola la spensieratezza del pop punk alle introspezioni più cupe dell’alternative rock. Si parte con Brebemi, un’apertura che racconta Brescia, città natale della band, con energia contagiosa e un’ironia pungente, trasformando luoghi e serate in simboli di una giovinezza vissuta tra contraddizioni e sogni. Seguono Serena e Pamela, due singoli che raccontano l’amore in modo opposto: il primo dolce e malinconico, il secondo ruvido e graffiante, ma entrambi radicati nella forza viscerale delle emozioni giovanili. Con Chiara Se Ne Va, i Polo Territoriale creano un inno alla ribellione: una fuga da una vita monotona e insoddisfacente che invita a riflettere sui confini della libertà. È con la title track, Dimmi, che l’album prende una piega più riflessiva, lasciando l’ascoltatore sospeso in un’atmosfera densa di dubbi e tensioni.
Il viaggio prosegue con Sognando Oslo, che esplora il dolore della perdita e la ricerca di un rifugio ideale, mentre Grigio Cemento affonda nel tema del suicidio con una sincerità disarmante, offrendo una delle vette emotive più alte del disco. Fiori di Tunisi e Tavor sfidano le ipocrisie con testi che affrontano rispettivamente il rapporto conflittuale con le droghe leggere e l’importanza di abbattere i tabù sugli psicofarmaci e la psicoterapia, senza moralismi né retorica.
Infine, Berlino chiude il cerchio con un brano che cattura l’energia e il caos della capitale tedesca, conducendo verso un lungo finale strumentale, come un’alba che lascia intravedere una nuova possibilità. Dimmi è un album che riesce a intrecciare leggerezza e profondità, rabbia e malinconia, raccontando con autenticità i turbamenti e le speranze di una generazione in cerca di sé stessa.